Percorriamo la strada che dalla collina ci porta verso alcune grotte, le famose grotte delle pertucce.
Noi abbiamo deciso di uscire in bici, è una bella giornata, il profumo della menta selvatica e delle margherite ci inebria e una leggera brezza di vento ci rinfresca la pelle ed il viso.
Sentite anche voi questo rumore?
E’ un rumore metallico, cadenzato, quasi una danza… a volte la sentiamo, a volte no.
Dopo pochi metri superiamo una curva e arriviamo all’ingresso delle grotte, un ingresso spoglio, quasi anonimo.
Posiamo la bici e superiamo l’arco di pietra a mo di porta.
Chiudiamo gli occhi e il rumore si palesa ancora, più forte, più deciso.
Come in un turbinìo di voci, rumori, immagini, sensazioni ci ritroviamo ad aprire gli occhi e a scoprire che… siamo tornati indietro di 2700 anni. Che razza di sortilegio è mai questo?!
Sarà l’atmosfera misteriosa, sarà il nostro amore per la storia e cultura Etrusca ma ci ritroviamo nel pieno del 700 a.c circondati da veri Etruschi!
Esploriamo questa grotta e comprendiamo meglio la vita e la cultura Etrusca.
INDOSSIAMO IL TEBENNO E SCOPRIAMO LA GROTTA
La prima cosa che riusciamo a capire è che questa grotta era dapprima stata usata come semplice cava, una specie di magazzino, ma che poi fu trasformata dai suoi proprietari in abitazioni.
Ci sono svariate cunicoli, alcuni grandi, altri molto molto piccoli, magari usati per far passare animali e portarli nelle loro stalle a riposare.
Questa era senza dubbio un abitazione semplice, abitata magari da contadini o allevatori che avevano adibito alcune stanze della casa a stalle per il ricovero degli animali.
Ma le case degli Etruschi non erano tutte cosi.
Il popolo Etrusco era difatti ricco e raffinato, con una cultura elevata e una attenzione ai dettagli importante.
Le abitazioni erano generalmente a pianta rettangolare, ripartite in più vani da muri portanti che poggiavano su fondazioni a secco in tufo, alberese o galestro a seconda delle disponibilità locali. I pavimenti erano generalmente in terra battuta e le murature a graticcio o in mattoni, con travi e pilastri portanti in legno. I tetti, a loro volta sostenuti da travi lignee, erano ricoperti da tegole in terracotta; in alternativa era praticata la tecnica del pisè, pressando argilla all’interno di casseri; tali muri erano più robusti e potevano essere portanti senza bisogno di aggiungere travi e pilastri. (fonte: Wikipedia).
Naturalmente le famiglie più ricche potevano permettersi case più grandi e gli aristocratici si facevano costruire veri e propri palazzi che si componevano di molti ambienti, fastosamente arredati.
Le pareti esterne erano ravvivate con vivaci colori applicati direttamente sulle pareti oppure con ri-vestimenti di terracotta con scene dipinte. Sui tetti venivano collocate figure di terracotta e gocciolatoi a testa animale. (fonte: http://www.archeologiatoscana.it/download/64/101_abitazioni_e_vita_quotidiana.pdf)
Ora sono sicuro che vi starete chiedendo, ok, siamo entrati, ci hai raccontato com’è fatta una casa Etrusca, ma si può sapere cosa diavolo sia il tebenno?!
🙂 Avete ragione, ve lo spiego subito.
Il Tebenno era il più importante indumento Etrusco, un semplice mantello, ma cosi importante che poteva essere indossato anche come capo unico. Poteva essere vestito in modi diversi: trasversalmente, partendo da una spalla e finendo sotto il braccio opposto (un pò come indossavano la tunica i Romani) oppure a mo di scialle o in altri modi. Non di rado era foderato di stoffa di vari colori.
Le donne invece indossavano una tunica leggera, probabilmente di lino, ricca di ornamenti e finemente decorata, che portavano fino ai piedi.
Sopra la tunica le donne Etrusche indossavano un mantello più pesante e amavano adornarsi con onili di varia fattura e gioielli vari: e non si trattava di semplici ornamenti, a volte indossavano gioielli assolutamente fastosi e riccamente decorati, degni di regine e re.
La cosa più curiosa dell’abbigliamento Etrusco era senza dubbio il berretto e le scarpe a punta che indossavano i bambini 🙂
Toh, eccolo lì, me ne è appena passato uno davanti… ma dove va cosi tutto di corsa?
ENTRIAMO IN CUCINA! CIBO E ALIMENTAZIONE ETRUSCA
Quel monello corre come uno scatenato e facciamo sinceramente fatica a stargli dietro.
Superiamo un ostacolo, entriamo in un cunicolo ed eccoci arrivati in cucina.
Gli odori catturano subito la nostra attenzione cosi come le cuoche che si affannano a preparare la cena.
Siamo incurioriositi, diamo uno sguardo da vicino.
Gli Etruschi cucinavano principalmente all’aperto e conoscevano bene i diversi modi di cottura dei cibi.
Gli Etruschi sono considerati un popolo godereccio, anche se fino al VI secolo a.C. il cibo era consumato in piedi, abitualmente in solitudine. Solo in seguito, quando il pranzo diventò anche un momento di gestione del potere, si banchettava sdraiati sui triclini, al modo dei Greci. E in questo, l’etrusco si differenziò dagli altri popoli perché ai banchetti venivano ammesse le donne.
I principali alimenti erano derivati da suini, ovini, pollame e cacciagione e sicuramente legumi e frutta. In scavi di insediamenti Etruschi sono stati rinvenuti semi di noccioli, ghiande, olivo, fico, orzo, prugna e addirittura resti di fave.
La loro cucina era sicuramente basata su aglio che cresceva spontaneamente nelle zone ombrose e cipolla ritenuti da loro, alimenti curativi, afrodisiaci e stimolanti. La cipolla veniva usato in modo moderato dai nobili esclusivamente cotta al contrario della servitù che ne faceva uso smodato e cruda condita con poco sale.
Ed è proprio aglio quello che sta mangiando il bambino, eccolo lì, accanto ad una formosa donna, credo sia la mamma.
Ma perchè un bambino dovrebbe mangiare aglio vi direte voi?
Gli Etruschi, cosi come altri popoli dell’antichità, facevano grande uso di piante ed erbe per la loro medicina, l’aglio ad esempio veniva usato come depurativo e come medicina contro i parassiti intestinali.
Chissà che quel birbantello non abbia mangiato qualcosa che gli abbia fatto male.
Ancora quel suono metallico, ma da dove proviene?
Seguendo la melodia ritmica e ipnotizzante entro dentro un piccolo cunicolo fino a sbucare in un’ampia sala che si affaccia su un bosco e qui vedo uno spettacolo straordinario, il famoso rito del Lusus Troiae, il gioco di Troia.
GUERRIERI E DANZATORI
La cerimonia del Troiae Lusus (ludo Troiano), nata in Etruria, era un ludo cultuale di cavalieri a cui partecipavano come a un mysterium, solo gli iniziati e si svolgeva in occasione di onoranze funebri e della fondazione di città e successivamente, in giorni di espiazione celebrati annualmente in date fisse.
La valenza simbolica della battaglia rituale e del percorso labirintico in occasione delle esequie è certamente molteplice. Il percorso labirintico esprime la distanza che separa la sfera della vita e quella della morte e la difficoltà del pasaggio dall’una all’altra.
Qui, in questo luogo, si sta celebrando la morte di una donna o di un uomo importante e sono accorsi da molte città-stato.
In lontananza vedo un artigiano intento a dipingere un bellissimo vaso, il famoso Oinochoe di Tragliatella.
L’oinochoe è un vaso simile alla brocca, utilizzato per versare il vino o l’acqua. Utilizzata già in età prellenica, se ne conoscono esemplari sia in metallo sia in terracotta e nella grande varietà di forme che questo vaso ha assunto, attraversando il geometrico e l’orientalizzante, per giungere alle figure nere attiche e al termine delle figure rosse.
L’oinochoe è caratterizzata da corpo ovale, più o meno allungato, con ansa unica, ed ha un’altezza variabile dai 20 ai 40 cm.
Il vaso è bellissimo e rappresenta senza dubbio qualcosa di più di un semplice racconto o della descrizione di un ballo iniziatico, credo che la spiegazione più precisa e concreta la dia la Prof.ssa Alberti in questo suo brano,
“Se l’interpretazione più accreditata vede nel complesso figurativo il riferimento all’avventura di Teseo è evidente l’assenza del tema della lotta col minotauro e della danza degli ostaggi liberati, come invece troviamo nel vaso François, ma possiamo supporre che tali motivi siano stati sostituiti dalla rappresentazione della danza armata labirintica, del Troiae lusus praticata nell’Etruria del VII sec. a.C. Nel tema del Troiae lusus possiamo individuare tre aspetti simbolici:
a) la protezione della quiete del defunto;
b) la protezione dei vivi dal defunto;
c) l’indicazione della via che l’anima del defunto deve percorerre nel mondo degli inferi.
Un labirinto è rappresentato anche sulla soglia del tempio di Cuma dove si riteneva fosse l’ingresso dell’Ade.
Possiamo dunque dire che la brocca, collocata in una tomba, rappresenterebbe attraverso i suoi fregi il tema cosmico dell’eterno ritorno all’interno della sequenza vita, morte, rinascita, modello esemplare del motivo iniziatico della trasformazione interiore, essa stessa strettamente legata al motivo del sacrificio rituale quale autoesplicazione dello sviluppo delle singole parti e al contempo di autolimitazione in favore di un’unità superiore trascendente che pur le comprenda.” (Il fregio dell’oinochoe di Tagliatella a cura di M. Rita Albanesi, in « átopon» 1992 vol. I)).
E’ pura magia quella che sto vivendo… ma un momento, cosa sta accadendo?!
Come risucchiato da un vortice spazio tempo mi ritrovo a dover chiudere i miei occhi a cusa di una polvere stellare che mi acceca, solo dopo molti secondi riesco a riaprirli.
Ed eccomi tornato nel ventunesimo secolo, nel silenzio di questa antichissima dimora ormai spogliata della sua vita dal tempo e dall’incuria dell’uomo. Ma pur sempre meravigliosa e capace di raccontare storie che si perdono negli abissi del tempo.
Visitatela con il corpo, la mente e l’immaginazione, ne vale la pena! 😉